“Non so se sei stato abile o semplicemente fortunato, ma sei giunto qui, dove pochissimi osano arrivare. Questo è un angolo d’ombra, una crepa nel muro del silenzio. Preparati a scoprire ciò che giace nell’oscurità…”

© 2025 Erik Mirren. This site hosts the author's work, and his texts may be shared on social media or other platforms, always and only under the name Erik Mirren, and never attributed to anyone else. Images and visual content are excluded from any use.

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Non so se sei stato abile o semplicemente fortunato, ma sei giunto qui, dove pochissimi osano arrivare. Questo è un angolo d’ombra, una crepa nel muro del silenzio. Preparati a scoprire ciò che giace nell’oscurità…

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Il fatto che tu sia qui, in questa pagina dimenticata dal tempo, non è un caso. Niente lo è mai stato, anche se la maggior parte degli uomini preferisce credere il contrario. È più comodo, capisci? Più rassicurante pensare che tutto sia frutto del caos piuttosto che ammettere l'esistenza di fili invisibili che muovono le marionette. Hai intuito qualcosa, lo vedo. È scritto nel modo in cui i tuoi occhi scorrono queste righe, nel respiro che si è fatto più lento. L'istinto del cacciatore che riconosce la preda – o forse è il contrario.

 Non importa. Quello che conta è che possiedi quella rara qualità che distingue chi sopravvive da chi semplicemente esiste: l'arte di vedere oltre il velo. Ho camminato nei corridoi del potere quando ancora le ombre erano più lunghe delle colonne che le proiettavano. Ho bevuto champagne in salotti dove un sussurro valeva più di un urlo in piazza, dove i sorrisi costavano più delle lacrime e dove la verità era l'unica valuta che nessuno accettava. Conosco il peso specifico del silenzio dei potenti – quel silenzio denso come petrolio, che macchia tutto ciò che tocca. Istanbul, 1979. 

Singapore, nell'anno delle piogge nere. Quella villa sul Bosforo dove i pavoni bianchi morivano uno dopo l'altro senza che nessuno osasse chiedere perché.

 Ho visto uomini vendere l'anima per un posto a tavola, ignari che il banchetto era già finito da tempo. Ho visto donne bellissime marcire dall'interno, corrose da segreti che nemmeno i diamanti riuscivano più a nascondere. Ma è stato a Praga, in quella notte di nebbia gialla, che ho compreso la prima legge: tutto ciò che possiedi finirà per possedere te. I palazzi crollano, gli imperi si sgretolano, persino i nomi incisi nel marmo vengono cancellati dal vento. Duecento anni? È generoso. Cinquanta, forse meno. Il tempo è un animale affamato che divora persino le proprie ossa. Accumulate pure i vostri tesori, riempite le vostre casseforti di carta straccia e metallo luccicante.

 Io ho imparato a viaggiare leggero. Le uniche ricchezze che porto con me sono quelle che nessun ladro può rubare: cicatrici che raccontano storie, ombre che mi hanno insegnato a camminare nel buio, e quella particolare forma di cecità che ti permette di vedere davvero. C'è qualcosa – chiamalo segreto, se vuoi, anche se la parola è inadeguata – che pulsa sotto la superficie di questo mondo marcio. L'ho scoperto per caso, o forse era destino. Chi può dirlo? So solo che da quel momento tutto è cambiato.

 I colori sono diventati più scuri, i suoni più acuti, e ho capito che esistono solo quattro o cinque leggi fondamentali che governano questa commedia grottesca che chiamiamo vita. Il resto è fumo negli occhi, trucchi da baraccone per tenere occupate le masse mentre i veri giochi si svolgono altrove. Non te le dirò direttamente, queste leggi. Sarebbe troppo facile, e ciò che viene dato gratuitamente non ha valore. Le ho nascoste nelle pieghe dei miei racconti, cifrate nel sangue versato dai miei personaggi, sussurrate tra le righe di amori impossibili e tradimenti inevitabili.

 Storie di carne e ossa, di fango e stelle, perché anche nei salotti dorati si muore male, e anche nelle fogne si può trovare la redenzione. La paura... ah, la paura. È stata la mia amante più fedele, la mia nemica più leale. Mi ha insegnato più di qualsiasi maestro. All'inizio la combattevo, poi ho imparato a danzarci insieme, e infine – questa è la parte che nessuno capisce – l'ho invitata a cena. Ora siamo vecchi amici. Ci sediamo insieme nel crepuscolo e ridiamo di tutti quelli che ancora fuggono dalle proprie ombre.

Sai qual è il paradosso? Più conosci il meccanismo della paura, meno hai da temere. È come scoprire che il mostro sotto il letto è solo un cappotto dimenticato. Ma attenzione: questa conoscenza ha un prezzo. Tutto ce l'ha, in questo mondo di mercanti e prostitute in giacca e cravatta. Il prezzo l'ho pagato in lacrime che nessuno ha visto, in notti insonni passate a fissare soffitti che sembravano cieli capovolti, in perdite che ancora bruciano come ferro rovente sulla pelle. Ma sono guarito. O forse ho solo imparato a convivere con le ferite.

 In fondo, cosa distingue la guarigione dalla rassegnazione, se non una questione di prospettiva? Tu sei qui. Questo è già qualcosa. Significa che hai seguito le briciole di pane avvelenato che ho lasciato cadere lungo il sentiero. Significa che forse – solo forse – sei pronto a vedere ciò che si nasconde dietro il sipario. O forse sei solo un altro illuso in cerca di risposte facili a domande sbagliate.

 Non importa. Quello che ho seminato nei miei scritti è lì, in attesa. Decifralo, se ne hai il coraggio. Usalo, se ne hai la forza. Ma ricorda: ogni rivelazione è anche una condanna, ogni verità una catena in più. E quando avrai capito davvero, quando avrai visto quello che io ho visto, non potrai più tornare indietro. Il viaggio che stai per intraprendere non ha mappe né bussole. Solo precipizi mascherati da ponti e miraggi che sembrano oasi.

 Ma è l'unico viaggio che vale la pena fare, perché alla fine – se sopravvivi – scoprirai che la destinazione eri tu stesso, riflesso in uno specchio nero che non mente mai. Benvenuto nell'abisso, amico mio. Che tu possa trovare nella caduta le ali che non sapevi di avere. Erik Il fatto che tu sia qui, in questa pagina divorata dal tempo, non è un caso. Niente lo è mai stato—anche se la massa preferisce cullarsi nell’illusione del caos, un conforto fragile per anime troppo deboli per affrontare i fili invisibili che danzano tra le marionette di questo mondo marcio.

 Tu, forse, lo hai intuito. Lo leggo nel modo in cui i tuoi occhi scivolano su queste righe, nel respiro che si spezza, un battito che tradisce. È l’istinto del cacciatore—or della preda? Poco importa. Ciò che conta è che possiedi quella rara scintilla che separa i sopravvissuti dai semplici spettri: l’arte di strappare il velo, di vedere oltre il fumo che acceca. Ho calcato i corridoi del potere quando le ombre si stendevano più lunghe delle colonne che le generavano, un’eco muta tra marmi freddi e sussurri velenosi. Ho assaporato champagne in salotti dove un solo sussurro valeva più di un grido nella polvere, dove i sorrisi erano monete di un mercato nero e le lacrime un lusso proibito. Ho conosciuto il silenzio dei potenti—un silenzio opaco come petrolio, che macchia le mani, corrode l’anima, un peso che solo chi l’ha portato può comprendere.

Istanbul, 1978: il vento portava odori di spezie e tradimento. Singapore, nell’anno delle piogge nere, quando l’acqua lavava via solo le apparenze. Quella villa sul Bosforo, dove i pavoni bianchi cadevano come foglie senza che nessuno osasse chiedere perché—un cimitero di piume sotto un cielo indifferente. Ho visto uomini svendere l’anima per un posto a tavola, ignari che il banchetto era un’illusione, le posate arrugginite di un festino già finito.

Ho visto donne bellissime, i loro volti come maschere di porcellana, marcire dall’interno, divorate da segreti che nemmeno i diamanti potevano coprire—un decadimento silenzioso, un’agonia senza testimoni. Ma fu a Praga, in una notte di nebbia gialla che avvolgeva le strade come un sudario, che la prima legge mi trafisse: tutto ciò che possiedi finirà per possederti.

 Palazzi crollano sotto il peso dei secoli, imperi si sgretolano come sabbia al vento, nomi incisi nel marmo svaniscono, cancellati da un soffio. Duecento anni? Un’ipotesi generosa. Cinquanta, forse trenta—il tempo è una belva famelica, che divora le proprie ossa con un ghigno. Accumulare tesori? Riempire casseforti di carta straccia e metalli luccicanti?

Una fola per stolti. Io ho scelto di viaggiare leggero, portando con me solo cicatrici che narrano battaglie mute, ombre che mi hanno insegnato a danzare nel buio, e una cecità selettiva—un dono che mi ha aperto gli occhi su ciò che conta. C’è qualcosa—chiamalo segreto, anche se la parola è un guscio vuoto—che pulsa sotto la crosta di questo mondo putrido. L’ho scorto per caso, o forse era scritto nel filo di un destino che non comprendo del tutto.

 Da allora, i colori si sono scuriti, i suoni si sono fatti taglienti come lame, e ho compreso che solo quattro, cinque leggi fondamentali reggono questa farsa grottesca che osiamo chiamare vita. Il resto? Fumo negli occhi, trucchi da giocolieri per distrarre le masse mentre i veri burattinai tessono le loro trame nell’ombra.

Non te le offrirò su un piatto d’argento— sarebbe un insulto, e ciò che si dà gratuitamente perde ogni sapore. Le ho celate nelle pieghe dei miei racconti, cifrate nel sangue dei miei personaggi, sussurrate tra le righe di amori spezzati e tradimenti che sanno di inevitabile. Storie di carne e ossa, di fango e stelle—perché nei salotti dorati si muore comunque male, e nelle fogne più oscure può nascere una luce. Non te ne sei accorto?

Anche chi ha tutto porta catene invisibili, un’infelicità che luccica come oro falso. La paura… ah, la paura. È stata la mia amante più devota, la mia nemica più sincera. Mi ha insegnato più di qualsiasi maestro, con le sue lezioni crude. All’inizio la sfidavo, poi ho imparato a muovermi con lei, passo dopo passo, fino a invitarla a sedersi con me. Ora siamo vecchi compagni—ci incontriamo al crepuscolo, e ridiamo di chi ancora fugge dalle proprie ombre.

 Il paradosso? Più conosci il volto della paura, meno hai ragione di temerla. È come scoprire che il mostro sotto il letto è solo un cappotto abbandonato—ma questa rivelazione ha un prezzo. Tutto ha un prezzo, in questo mercato di anime vendute in cravatta. L’ho pagato con lacrime che nessuno ha visto, con notti insonni a fissare soffitti che sembravano abissi capovolti, con perdite che ancora ardono come ferro sul cuore. Eppure, sono guarito—or ho imparato a indossare le ferite come trofei. Guarigione o rassegnazione?

Una linea sottile, un gioco di specchi. Tu sei qui. Questo è un segno. Hai seguito le briciole avvelenate che ho lasciato cadere, un sentiero di ombre e silenzi. Forse—solo forse—sei pronto a sollevare il sipario. O forse sei un altro illuso, in cerca di risposte a questioni che non meritano luce. Non importa. Quel che ho seminato nei miei scritti è lì, in attesa. Decifralo, se ne hai la forza. Usalo, se ne hai il coraggio. Ma sappi: ogni verità è una catena, ma ogni rivelazione un precipizio.

 Quando avrai visto ciò che io ho visto, non ci sarà ritorno. Il viaggio che ti attende non offre mappe né guide—solo burroni travestiti da sentieri e miraggi che danzano come oasi. È l’unico cammino che valga la pena, perché, se sopravvivi, scoprirai che la meta eri tu, riflesso in uno specchio nero, implacabile. Benvenuto nell’ abisso, compagno d’ombra. Che la caduta ti doni ali che non sapevi di possedere.


Erik    

“Segui le frecce e troverai qualcosa che ti appartiene”

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